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Discorso programmatico del Presidentedel Pontificio Consiglio per la Promozione
della Nuova Evangelizzazione

La religiosità popolare come fonte di evangelizzazione

S. E. R. Mons. Rino Fisichella

Arcivescovo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

 

Malaga, 23 settembre 2021

L’esperienza viva del Risorto

«Il punto cruciale della questione sta in questo: se un uomo, imbevuto della civiltà moderna, un europeo, può ancora credere; credere proprio nella divinità del Figlio di Dio Gesù Cristo In questo infatti sta tutta la fede» Sono le parole cariche di provocazione che provengono da uno degli scrittori più significativi dell’800: Dostoevskij Chiedersi se l’uomo di oggi è ancora disposto a credere in Gesù come Figlio di Dio comporta necessariamente rispondere a un’altra domanda che è sottesa: l’uomo di oggi sente ancora il bisogno della salvezza? Sta tutto qui il problema per noi credenti, e per la nostra credibilità nel mondo di oggi La domanda, comunque, costituisce una provocazione anche per quanti non sono cristiani ma desiderano dare un senso alla loro vita. Posti davanti a Gesù Cristo non si può rimanere neutrali; si deve dare una risposta se si vuole trovare un senso alla propria vita.
Per alcuni versi, si concentrano qui le grandi questioni che toccano ognuno di noi e la pietà popolare che nella semplicità, come se il tempo non fosse mai passato, vive la sua esperienza di Gesù Cristo crocifisso e risorto Forse, per essere ancora più legati alle nostre origini, dovremmo riprendere tra le mani il racconto dell’apparizione di Gesù agli Undici discepoli la sera di Pasqua. Racconta Giovanni che Cristo apparve a suoi discepoli e con un gesto insolito, unico, soffiò su di loro per comunicare lo Spirito Santo e offrire il segno di una nuova creazione. Poi diede loro il potere di perdonare i peccati. Due gesti incredibili che possiedono un valore straordinario per la vita della Chiesa Come si sa, però, Tommaso non era presente e al suo rientro l’unica cosa che gli altri apostoli gli raccontano non è che Gesù ha dato loro il potere di perdonare i peccati, e neppure che ha soffiato su di loro dando lo Spirito Santo. L’unica cosa che gli riferiscono pieni di gioia è: «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25). Questa esperienza dovrebbe appartenere anche oggi ai discepoli di Cristo. Dovremmo essere capaci di annunciare Gesù è morto e risorto, e affermare con convinzione: noi abbiamo visto Senza questa esperienza di fede vissuta, l’evangelizzazione diventa inefficace e la trasmissione della fede sterile.

La spiritualità popolare

Il tema della pietà popolare che mi avete affidato ha una sua storia molto interessante. Mi preme solo accennare all’evoluzione semantica che si è creata in questi decenni, perché esprime l’attenzione che il magistero della Chiesa ha rivolto verso questa importante realtà ecclesiale. Nella Evangelii nuntiandi, san Paolo VI fu il primo a voler modificare l’espressione: «Sia nelle regioni in cui la Chiesa è impiantata da secoli, sia là dove essa è in via di essere impiantata, si trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede. Per lungo tempo considerate meno pure, talvolta disprezzate, queste espressioni formano oggi un po’ dappertutto l’oggetto di una riscoperta ... La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti ... Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri “pietà popolare”, cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità» (EN 48).

Il cambio da “religiosità” a “pietà” non era privo di significato. Con “religiosità” si indica un atteggiamento e un sentimento non necessariamente in riferimento a una religione particolare; è espressione di quel senso religioso che appartiene a ogni persona che sente dentro di sé il senso dell’infinito e dell’eterno. Con “pietà”, invece, si fa maggiormente riferimento a una disposizione di rispetto affettivo e di devozione verso Dio. È quindi un sentimento di speciale venerazione che si manifesta con forme che esprimono la fiducia, l’affetto e la riverenza verso Dio, la Vergine Maria e i santi a cui si sente di offrire la preghiera, il raccoglimento della mente e del cuore.

L’importanza che essa acquista nel processo di evangelizzazione, mi porta a ritenere che sia ancora più appropriata la qualifica di “spiritualità popolare”. In generale, infatti, per spiritualità si intende l’esperienza del coinvolgimento che il credente vive nella sua relazione con Dio. La spiritualità popolare si impone dinanzi a noi come un’espressione che è radi- cata nell’umiltà della fede dei semplici che sentono l’esigenza di andare oltre le diverse forme tipiche della liturgia ufficiale, e delle mediazioni clericali, per assecondare il sentimento radicato nell’intimo di un rapporto personale con Dio. Le mediazioni che si preferiscono, sono quelle ritenute come le più coerenti: benedizioni, acqua santa, reliquie, medaglie, immagini, candele ... tutto ciò che incarna una forma di presenza divina e la sua azione onnipotente. È una spiritualità che si fa forte di una relazione semplice e diretta con il Signore, la Vergine Maria e i Santi dove, al di là delle espressioni codificate, penetra maggiormente la dimensione intuitiva, spesso anche immaginativa, con le quali in un linguaggio popolare e diretto, si mettono le proprie esigenze e attese davanti all’immagine sacra.

Inoltre, una componente non secondaria in questa spiritualità è la dimensione della festa. Questa forma predilige una certa “teatralità” che nelle sue diverse forme rende manifesto il sentire emotivo del popolo e le sue esigenze espressive, tanto cari al mondo delle Confraternite. Una processione con tutto il contorno che possiede in alcune culture, non fa altro che esprimere questa esigenza che, realmente, è una forma genuina di spiritualità, perché contiene tutti gli elementi che la identificano e la rendono tale. Questa dimensione è spesso vissuta come un momento di aggregazione fondamentale, perché si ritrovano facilmente aspetti che danno identità e consentono di vedere in atto la forma di trasmissione della fede. La spiritualità popolare richiede di essere celebrativa, ha bisogno di una policromia di espressioni e di un palcoscenico per la sua realizzazione. Tutto ciò rende evidente il carattere prettamente inculturato della fede che non può sfuggire a questa condizione senza perdere della sua peculiarità. Da ultimo, questa spiritualità si nutre della testimonianza nel grande spazio della povertà umana. Sappiamo che molte confraternite sono nate per corrispondere alle opere di misericordia materiale e spirituale che nel corso dei secoli hanno trovato grande influsso. Come rivivere le opere di misericordia oggi, in un mondo che è cambiato creando nuove povertà materiali e spirituali, è un compito che le confraternite devono far loro. Come abbiamo sperimentato durante il Giubileo della Misericordia, le opere da realizzare sono tante quanti sono gli uomini e le donne che le vivono. Fermarsi a 14 potrebbe essere una via troppo facile mentre il Vangelo provoca a essere sempre creativi.

In questo contesto, Papa Francesco ha ben descritto tre caratteristiche che un rinnovato modo di vivere l’esperienza delle confraternite porta con sé. Nell’omelia del 5 maggio 2013 ha perfino creato un neologismo:

«Evangelicità ... Attingete sempre a Cristo, sorgente inesauribile, rafforzate la vostra fede, curando la formazione spirituale, la preghiera personale e comunitaria, la liturgia Nei secoli le Confrater- nite sono state fucine di santità di tanta gente che ha vissuto con semplicità un rapporto intenso con il Signore Camminate con decisione verso la santità; non accontentatevi di una vita cristiana mediocre, ma la vostra appartenenza sia di stimolo, anzitutto per voi, ad amare di più Gesù Cristo ... Ecclesialità La pietà popolare è una strada che porta all’essenziale se è vissuta nella Chiesa in profonda comunione con i vostri Pastori Cari fratelli e sorelle, la Chiesa vi vuole bene! Siate una presenza attiva nella comunità come cellule vive, pietre viventi ... (siete) Una modalità legittima di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa ... Missio- narietà Voi avete una missione specifica e importante, che è quella di tenere vivo il rapporto tra la fede e le culture dei popoli a cui appartenete, e lo fate attraverso la pietà popolare. Quando, ad esempio, voi portate in processione il Crocifisso con tanta venerazione e tanto amore al Signore, non fate un semplice atto esteriore; voi indicate la centralità del Mistero Pasquale del Signore, della sua Passione, Morte e Risurrezione, che ci ha redenti, e indicate a voi stessi per primi e alla comunità che bisogna seguire Cristo nel cammino concreto della vita perché ci trasformi. Ugualmente quando manifestate la profonda devozione per la Vergine Maria, voi indicate la più alta realizzazione dell’esistenza cristiana, Colei che per la sua fede e la sua obbedienza alla volontà di Dio, come pure per la sua meditazione della Parola e delle azioni di Gesù, è la discepola perfetta del Signore Questa fede, che nasce dall’ascolto della Parola di Dio, voi la manifestate in forme che coinvolgono i sensi, gli affetti, i simboli delle diverse culture ... E così fa- cendo aiutate a trasmetterla alla gente, e specialmente alle persone semplici, a coloro che nel Vangelo Gesù chiama “i piccoli”»

Come non vedere in queste parole un vero programma per le confra- ternite e la descrizione di una genuina spiritualità popolare che ha bisogno di essere vissuta con le forme coerenti.

Uno dei tratti peculiari del cristianesimo è la concezione di essere profondamente inserito nella storia. La Chiesa non può essere efficace nella sua opera di evangelizzazione se dimentica due aspetti che sono qualificanti la sua opera: come entrare nella cultura, e come creare storia. I due poli non sono separati. Per rimanere legati alla storia del nostro tempo, è necessario che guardiamo ai fenomeni che obbligano la Chiesa a ripensare la sua opera di evangelizzazione. Come nel passato essa si è inserita nel contesto culturale prima della Grecia e poi di Roma; come è stata capace di raggiungere le culture più lontane nell’epoca della grande storia mis- sionaria (Messico, l’Africa, il Giappone e la Cina), così ancora oggi la Chiesa sta riflettendo come inculturare il Vangelo nel mondo di internet, ad esempio, in Amazzonia.

Pensare all’evangelizzazione, voltando lo sguardo dall’altra parte, come se non esistesse l’esigenza dell’inculturazione, non è una strada che può essere percorsa. Il coraggio dell’evangelizzazione spinge inesorabilmente a scoprire nuovi percorsi e a seguirli sotto l’azione dello Spirito, che non può essere limitato da calcoli prettamente umani. In questo contesto, un compito che spetta oggi alla Chiesa nella sua opera di evangelizzazione, ci sembra essere duplice: da una parte, l’esigenza di trasmettere ciò che «sempre da tutti e in ogni luogo è stato creduto»; dall’altra quella di comprendere la nuova cultura che si affaccia e che determinerà i prossimi secoli, creando condizioni per noi impensabili che spingono a far sorridere perché sembra di rasentare la fantascienza, mentre sono dietro l’angolo e stanno già per affacciarsi con tutta la loro portata storica.

Viviamo un tempo di gradi sfide, che incidono non poco nei comportamenti di intere generazioni, dovute al fatto della conclusione di un’epoca con l’ingresso in una nuova fase per la storia dell’umanità A tanti elementi positivi dovuti al progresso della scienza e della tecnica e di un impegno sempre più cosciente di tante persone nella vita di fede, ci scontriamo non di rado con forme di discriminazione ed emarginazione sociali di cui non avevamo esperienza fino a qualche decennio fa, come pure ad espressioni di un distacco dalla fede, conseguenza di una diffusa forma di indifferenza religiosa, preludio per un ateismo di fatto. Spesso la mancanza di conoscenza dei contenuti basilari della fede e della cultura porta ad assumere comportamenti e forme di giudizio morale spesso in contrasto con quei principi su cui si è retta la civiltà nel corso di almeno venti- cinque secoli della nostra storia Il relativismo e un profondo senso di individualismo emergono come la nota caratteristica di questi decenni, segnati sempre più dalle conseguenze di un secolarismo teso ad allontanare il nostro contemporaneo dalla sua relazione fondamentale con Dio. In questo senso, sono soprattutto le Chiese di antica tradizione come le nostre che risentono di questa condizione, creando un deserto interiore, perché di fatto l’uomo è allontanato sempre di più da se stesso.

È all’interno di questo contesto socio-culturale che è necessario inserire il tema della trasmissione di fede. La Chiesa ha sentito subito come suo compito fondamentale per corrispondere in pieno al comando del Signore di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli i popoli della terra L’espressione di Paolo VI: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre» (EN 20), se da una parte manifesta il nocciolo della questione con la quale dobbiamo confrontarci, dall’altra, provoca ancora una volta dopo decenni a riflettere seriamente su come possiamo e dobbiamo dare spessore culturale alla nostra esperienza di fede. È sempre Paolo VI che scrisse: «Il mondo soffre per la mancanza di pensiero» (Popolorum progressio 85). Per questo motivo, senza retorica, dobbiamo ribadire che è necessario una nuova consapevolezza dei cristiani che si renda capace di entrare nel cuore delle culture, di conoscerle, comprenderle e orientarle verso quel desiderio di verità che appartiene ad ogni uomo e ogni donna in ricerca del senso della propria vita.

Tutto questo obbliga a dover entrare più direttamente nel merito della questione. Per alcuni versi, nel passato era più facile trasmettere il Vangelo. Le nostre famiglie vivevano in un contesto sociale, dove la comunicazione dei valori era saldamente improntata in un solido stile di vita che consentiva la ricezione di un messaggio unitario nei diversi contesti della formazione: famiglia, scuola e comunità cristiana vivevano di una circolarità impressionante che permetteva la trasmissione di contenuti come una voce all’unisono. Il contesto di frammentazione odierno, al contrario, unito alla pluralità delle posizioni e soprattutto alla diversificazione dei linguaggi impone un’attenzione e una fatica maggiore.

Per quanto possiamo guardare ai nostri Paesi nella diversificazione delle loro culture e tradizioni, è facile verificare una crisi che non è primariamente di ordine economico e finanziario. La crisi è, anzitutto, di ordine culturale e, di fatto, si trasforma in una crisi antropologica L’uomo è in crisi. Sembra non essere capace di ritrovare se stesso e la propria identità. Dopo le lusinghe di aver raggiunto l’età adulta e di essere pienamente padrone di sé e dei propri atti, scopre che è nudo, indifeso, senza sapere chi è. Privo di un fondamento, si è ritrovato solo, lontano anche da Dio e in preda a movimento di pensiero talmente rapido nel proprio evolversi e cambiare che appare spaesato e senza punti di riferimento solidi verso cui tendere. Dobbiamo essere sinceri: oggi non esistono più le grandi forme di ateismo come le abbiamo sperimentato nel passato La crisi dei nostri giorni è determinata dal potere e sapere parlare di Dio; la cosa non ci può lasciare neutrali Dio oggi più che essere negato, è sconosciuto. Migliaia di giovani affermano senza problemi di essere agnostici. Probabilmente, all’interno di quest’espressione c’è qualcosa di vero circa il modo di porsi del nostro contemporaneo dinanzi a “Dio”.

Tolto Dio, e resa superficiale l’esperienza religiosa, l’uomo ha perso se stesso. Il desiderio della ricerca del volto di Dio, che da sempre contraddistingue l’ansia più profonda del cuore umano, è diventato ogni giorno più debole e la lontananza da lui più vistosa. L’unico volto che è rimasto riflesso è il proprio. Da solo, l’uomo muore prima del tempo. Persa la relazione con gli altri, termina di essere persona e rimane solo individuo, monade che non ha alcuna possibilità di sopravvivenza, perché incapace di amore che genera, e la solitudine ha il sopravvento Il cerchio si conclude così. Tristemente, ma in maniera inequivocabile. Se Dio viene relegato in un angolo, l’uomo perde se stesso perché non ha più senso relazionarsi con sé e tantomeno con gli altri. L’uomo di oggi, per paradossale che possa sembrare, è un uomo solo. È necessario, pertanto, riportare Dio al centro. Se non lo si vuole proporre per un motivo di natura religiosa, lo si dovrebbe fare almeno per ridare ossigeno a un uomo sofferente.

Trasmettere la fede

La domanda sul senso della vita rimane immutata, senza possibilità di poterla rimuovere se non per lo spazio di qualche momento. Gli interrogativi permangono uguali: «chi sono io in questo mondo?» «dove sto andando, e verso quale obiettivo?» «esiste ancora la possibilità di amare ed essere amato per sempre?», «esiste una vita dopo la morte?»; oggi, poi, proprio in forza della macchina, sentiamo sempre più spesso la domanda: «Perché non mi lasci morire?» L’assillo sull’uso e l’influenza sulla propria vita della tecnica non può che aumentare la domanda di senso e del mistero che avvolge ogni esistenza personale. Tutto questo spinge ad affermare con maggior convinzione che l’uomo del XXI secolo, pur essendo un impenitente razionalista soprattutto nella cultura tecnicizzata, sente il bisogno del mistero e dell’ineffabile; lo percepisce con lucidità; a volte lo desidera perché non lo trova, e riconosce di avere con esso un legame che niente e nessuno potranno mai spezzare. La supremazia della tecnocrazia può ridimensionarsi se poniamo con forza la presenza del mistero che pone interrogativi a cui la tecnica e la scienza non possono rispondere

Quanto vedo personalmente all’orizzonte, proprio in forza della nuova evangelizzazione e trasmissione della fede, è l’esigenza di creare un modello antropologico capace di compiere la necessaria sintesi tra quanto è frutto della conquista dei secoli precedenti e la novità del nostro presente. Per alcuni versi vorrei vedere all’orizzonte un neoumanesimo.  Uso intenzionalmente questo termine, perché carico del significato acquistato nel corso dei secoli. Esso ha determinato una tappa fondamentale per la nostra cultura. L’umanesimo, infatti, segnò a suo tempo un autentico entusiasmo che investì tutti gli ambiti dell’attività umana. Ciò che costituì la sua fortuna fu la freschezza del movimento che si mise in atto e che coinvolse lo spirito del tempo in modo tale da reinterpretare in modo nuovo le problematiche di sempre. L’Umanesimo fu la capacità di comprendere il cambiamento che si stava realizzando, ma ugualmente espresse la convinzione di poter rileggere e risolvere i problemi che l’umanità possedeva da sempre. Non fu una visione frammentaria del mondo, ma unitaria; così come unitaria era la lettura dell’uomo che era stato posto al centro del creato. In questa fase, che si estese dalla filosofia alla letteratura, dall’arte alla scoperta di nuove terre, Dio non era escluso ma diventava l’orizzonte di senso della ricerca personale e della vita sociale.

Ricreare questo orizzonte è un compito che spetta a tutti e la sua realizzazione non può essere unilaterale. Noi cattolici desideriamo dare il nostro contributo peculiare come lo è stato nei secoli passati. Abbiamo a cuore il destino dei popoli e dei singoli, perché la nostra storia ci ha resi «esperti in umanità» (Paolo VI). Il Vangelo che trasmettiamo di generazione in generazione è annuncio di un nuovo modo di vivere, realizzato per superare la paura più grande che l’uomo possiede: la morte come annientamento di sé.

Trasmettere la fede, pertanto, equivale a trasmettere uno stile di vita come testimonianza fedele di aver fissato il nostro sguardo sul volto di Gesù Cristo ed essere diventati suoi discepoli. Non è facile ai nostri giorni questa comunicazione, eppure è determinante. A noi spetta il compito di indicare, così come fece Giovanni Battista con Andrea e l’altro discepolo. Sarà Gesù stesso a voltarsi, domandare e invitare a seguirlo. La consegna che ci è stata fatta dal giorno del battesimo, comunque, obbliga a non dimenticare. La fede che si trasmette è anche un contenuto che dà senso alla vita perché la illumina con la parola e il comportamento di Gesù. Conoscere lui equivale a conoscere il suo Vangelo; non conoscere la Sacra Scrittura fa cadere nell’ignoranza stessa di Gesù. Quanto ci viene chiesto è di essere come le sentinelle del mattino: vigili, in attesa e pronti a dare l’annuncio della sua presenza. Certo, siamo chiamati a farlo in un contesto di indifferenza se non di rifiuto. Eppure, la nostalgia di Dio non potrà mai essere soffocata È importante, quindi, che insieme alla consapevolezza della trasmissione si possano trovare sempre nuove forme che ne provochino l’attenzione e l’ascolto. Trasmettere la fede, pertanto, riporta al cuore del Vangelo perché richiede di porre ancora al centro l’amore. Non un amore qualunque che si accontenta di un fine settimana di passione. Ciò che noi trasmettiamo è un amore che non si dà per vinto, fino a quando non ha conquistato il fratello per avvicinarlo a Cristo, sorgente inesauribile dell’amore che non tramonta.

Per concludere

«Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo ... Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Benedetto XVI)1 Le confraternite posso fare loro queste osservazioni di responsabilità, consapevoli che svolgono un ruolo ecclesiale e agiscono anche a nome delle comunità cristiane.

La trasmissione della fede, pertanto, riparte da qui: dalla credibilità del nostro vivere da credenti e dalla nostra convinzione che la grazia agisce e trasforma fino al punto da convertire il cuore. Il mondo di oggi ha un bisogno profondo di amore perché, purtroppo, conosce sempre di più i suoi fallimenti. Guardare al futuro con la certezza della speranza vera è ciò che consente a noi di non rimanere rinchiusi né in una sorta di nostalgia che guarda solo al passato come se solo ieri le cose andavano bene, né di cadere in un orizzonte di utopia perché ammaliati da ipotesi che non potranno avere riscontro. La fede impegna nell’oggi che viviamo per questo non corrispondervi sarebbe ignoranza e paura; a noi cristiani, tuttavia, questo non è consentito. Rimanere rinchiusi nelle nostre chiese potrebbe darci qualche consolazione ma renderebbe vana la Pentecoste. È il tempo di spalancare le porte e ritornare ad annunciare la risurrezione di Cristo di cui siamo testimoni. Secondo le parole del santo Vescovo Ignazio agli albori del cristianesimo: «Non basta essere chiamati cristiani, bisogna esserlo davvero» (Ai Cristiani di Magnesia,I,1) Se qualcuno vuole riconoscere i cristiani lo deve poter fare per il loro impegno nella fede non per le loro intenzioni. Rendiamo ancora attuali, pertanto, le parole di Papa Francesco rivolte a voi: «Le vostre iniziative siano dei “ponti”, delle vie per portare a Cristo, per camminare con Lui. E in questo spirito siate sempre attenti alla carità. Ogni cristiano e ogni comunità è missionaria nella misura in cui porta e vive il Vangelo e testimonia l’amore di Dio verso tutti, specialmente verso chi si trova in difficoltà.

Siate missionari dell’amore e della tenerezza di Dio!

Siate missionari della misericordia di Dio, che sempre ci perdona, sempre ci aspetta, ci ama tanto!»

 

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Il ruolo delle Confraternite nell’attuale panorama europeo

Malaga 24 settembre 2021

Un rapidissimo sguardo alla storia d’Europa mostrerebbe con evidenza che è stata veramente se stessa, e profondamente grande nel creare forme di autentica civiltà e progresso dei popoli, quando ha fatto diventare patrimonio di cultura universale i valori costitutivi che le provenivano dalla fede cristiana, rendendo popoli differenti uniti tra loro nell’identità di un denominatore comune trasmesso senza sosta nel corso dei secoli. Ripensare questa unità è possibile nella misura in cui si creano delle fondamenta capaci di esprimere con evidenza la propria identità, frutto di una lunga storia che nel bene e nel male appartiene a tutti noi, e conseguenza di tradizioni culturali che hanno creato progresso e civiltà nel corso di questi secoli.

Il valore dell’Europa per la Chiesa

Di questo, la Chiesa si sente in prima persona responsabile perché il suo legame con l’Europa è intimo; per molti versi i due hanno un destino comune. Hanno percorso insieme, infatti, un lungo periodo ed entrambe sono state segnate dalle stesse vicende storiche. Il cristianesimo, infatti, è legato in modo del tutto peculiare alla storia dell’Europa e questa, da parte sua, ha nel cristianesimo le sue radici più profonde. Certo, il cristianesimo nasce in quella terra santa che ha visto Gesù di Nazareth percorrere le sue strade e i suoi sentieri annunciando il Regno di Dio. Da quella terra è partito, portando con sé il carico di una tradizione che ben presto con l’acutezza di Paolo ha trovato la sua via maestra e ha esplicitato con un’originalità che non conosce confronti. È sufficiente riprendere tra le mani la lettera ai Galati per verificare direttamente cosa si è verificato nei primi anni di vita della Chiesa. La sfida più grande si è giocata proprio sulla forza dell’originalità dell’annuncio di Gesù Cristo che non poteva essere imbrigliato nella logica della legge mosaica. La libertà che Cristo aveva portato nel mondo era di tale spessore che non trovava riscontro nel mondo giudaico né in quello greco e romano. Coniugando la libertà con la verità e questa ritrovata nell’amore, si veniva a porre nel mondo una miscela talmente esplosiva che solo le generazioni future avrebbero sperimentato nella loro profondità: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù ... In Cristo non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità ... Voi infatti siete stati chiamati a libertà ... ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,1 6 13)

Nonostante questo, il cristianesimo ha trovato in Europa il suo ambiente vitale; ciò che gli ha permesso di esprimere al meglio la sua novità con l’aiuto di uno strumentario concettuale e linguistico che alla luce dell’originalità dottrinale ha permesso uno sviluppo culturale senza precedenti. Il cristianesimo, infatti, si immette nelle culture e nelle società non distruggendo il bene di ciò che trova, frutto della saggezza e dell’intelligenza dei popoli, ma lo rinnova e indirizza facendolo sfociare verso la pienezza della verità. È innegabile che l’espressività più efficace dal punto di vista concettuale, linguistico e culturale del cristianesimo è stata realizzata, pertanto, all’interno di quel tessuto territoriale e culturale che conosciamo come Europa.

L’Europa è nata cristiana e solo nella misura in cui rimarrà tale potrà pensare di conservare a pieno la propria idealità e il proprio apporto originale alla costruzione di una civiltà post-moderna. La Chiesa è stata davvero la comune e antica madre che ha dato vita all’unione di tanti popoli; alcuni, oggi, dimenticano da chi sono stati generati, senza capire che così facendo non possono più comprendere dove stanno le proprie origini. La crisi di identità che l’Europa vive è sotto gli occhi di tutti. Tolto il concetto di persona si allontana quello della sua inviolabilità e sacralità e tutto cade nell’arroganza del più forte. Ne deriva la pretesa di imporre il diritto individuale sulla società e la conseguente distruzione di modelli sui quali l’occidente è fondato. Imporre alcuni diritti individuali porta a imprimere nella società la volontà di singoli, spezzando in questo modo il concetto stesso di persona come relazione. Contraddizione insanabile, frutto dell’individualismo che regna sovrano, dopo aver distrutto ogni possibile tensione verso il bene comune. La prima conseguenza di questo stato di crisi è la solitudine in cui è caduto l’uomo contemporaneo. Privo di una relazione salda che gli consente di comprendersi, è diventato ormai estraneo a se stesso, incapace a doversi collocare e comprendere. In questo modo, tende a rinchiudersi in sé con la conseguente mancanza di amore e donazione gratuita. I rapporti diventano soggetti all’interesse, la violenza dell’uno sull’altro ha la meglio e il confronto con la diversità invece di arricchire genera paura. In questo contesto diventa evidente la crisi della famiglia che sta attraversando i nostri Paesi con l’indifferenza colpevole di quanti hanno la responsabilità per una legislazione che ne tuteli la dignità e favorisca lo sviluppo. Incapace di essere se stesso e colto dalla paura di una stabile relazionalità nell’amore, si aprono strade che conducono a modelli contraddittori, distruggendo ogni relazione sociale.
Le radici dei nostri Paesi affondano nella fede cristiana che ha alimentato per secoli la convivenza e il progresso di popoli diversi, dimenticarlo sarebbe prima di tutto ignoranza, oltre che una colpa inescusabile. Noi non abbiamo una sola lingua e possediamo tradizioni culturali e giuridiche diverse; eppure, il nostro denominatore comune è facilmente rinvenibile nel cristianesimo. Per questo, nessuno si illuda. Non si potrà avere una società migliore, prescindendo da ciò che siamo stati. Solo una forte identità condivisa potrà debellare forme di fondamentalismo e di estremismo che ripetutamente si affacciano nei nostri territori. Perché questo avvenga, è necessario uscire da una forma di neutralità che non prende posizione a favore della propria storia. Se ci vergogniamo di ciò che siamo stati, nel bene e nel male, delle radici che ci sostengono e dell’identità cristiana che ancora plasma la nostra cultura allora non ci sarà futuro. La conclusione sarà solo quella di un declino irreversibile.
La Chiesa ha una profonda responsabilità in questo momento. Senza alcuna forma di presunzione, a me sembra che sia rimasta solo lei a far sentire la sua voce per fermare questo insano desiderio di autodistruzione che l’Europa sembra possedere. È importante, quindi, che si rifletta seriamente su quale contributo offrire per illuminare anche molti non cristiani, che sparsi per le diverse strade dei nostri Paesi hanno compreso i gravi rischi a cui l’Occidente è esposto. Si tratta, in ultima analisi, di riprendere a cercare con maggior vigore e insistenza il bene della persona, a quanto produce con sapienza, e a renderla responsabile del proprio futuro. Superata l’attuale parentesi in cui tutto viene concesso agli individui in nome di un diritto soggettivo che ha viziato questa generazione facendola sentire come un figlio unico, è determinante recuperare il senso della relazionalità in quanto parte di un’unica famiglia. L’assunzione del principio di responsabilità è una delle priorità che intravedo all’orizzonte. Esso impegna a una fatica che sa rimettere alla base i veri diritti iscritti nel cuore di ogni uomo e per ciò stesso garanti dell’uguaglianza e della libertà. Come credenti nella vittoria del bene sul male sempre e dovunque, siamo chiamati a lavorare perché la crisi che stiamo vivendo possa trasformarsi in un reale momento di confronto e di progresso per tutti

Da Lugano a Malaga

È in questo contesto che prende forma l’importante iniziativa che da alcuni anni ormai si sta preparando e che ritrova oggi qui presenti realtà diverse, ma unite dagli stessi obiettivi perché ci si sente legati da un sentimento comune che costituisce la storia e la tradizione di tante confraternite «La pietà popolare, di cui voi siete un’importante manifestazione è un tesoro che ha la Chiesa e che i Vescovi latinoamericani hanno definito, in modo significativo, come una spiritualità, una mistica, che è uno spazio di incontro con Gesù Cristo» Con queste parole, il 5 maggio 2013, Papa Francesco ha codificato anche la significativa presenza delle confraternite nel grande processo dell’evangelizzazione. Voi siete, secondo le sue parole: «Una realtà tradizionale nella Chiesa, che ha conosciuto in tempi recenti un rinnovamento e una riscoperta».
È proprio questo rinnovamento che merita di essere sostenuto perché la riscoperta del vostro apporto alla vita di fede di tante generazioni possa ancora oggi essere fondamentale per la trasmissione di una spiritualità che vi appartiene a pieno titolo. È la spiritualità popolare quella a cui si richiamano le varie confraternite e che trova la sua ragion d’essere nel coinvolgimento che si crea per rapportarsi a Dio superando le forme che ci tengono legati a noi stessi. Voi esprimete la fede dei semplici che hanno bisogno di rapportarsi in modo naturale con il Signore anche con espressioni che non sono tipiche della liturgia ufficiale, ma non per questo sono meno significative ed efficaci nel tentare di esprimere il nostro rapporto con il mistero di Dio.  Integrare le manifestazioni codificate nella liturgia con le espressioni semplici della fede che si esprime dando vita a riti, processioni, abiti, opere d’arte e quanto appartiene di diritto al vostro mondo multiforme, è un modo concreto per raccontare pubblicamente il mistero dell’incontro tra Dio e gli uomini nella ricchezza delle loro tradizioni culturali.
Seguendo sempre le indicazioni di Papa Francesco: «Nelle parrocchie, nelle diocesi, siate un vero polmone di fede e di vita cristiana, un’aria fresca! In questa Piazza vedo una grande varietà di colori e di segni Così è la Chiesa: una grande ricchezza e varietà di espressioni in cui tutto è ricondotto all’unità; la varietà ricondotta all’unità è l’incontro con Cristo ... Voi avete una missione specifica e importante, che è quella di tenere vivo il rapporto tra la fede e le culture dei popoli a cui appartenete, e lo fate attraverso la pietà popolare». Sono espressioni che indicano un vero programma di responsabilità perché partono dalla consapevolezza di essere partecipi della stessa missione evangelizzatrice della Chiesa.

L’Europa ha bisogno di avere dei segni di unità che emergono anche dalla vostra partecipazione e senso di appartenenza Voi potete esprimere la forza della fede che entra nelle culture e ne esce presentando espressioni di novità creativa originale. Sono convinto che il vostro apporto sarà fondamentale nella misura in cui saprete ricuperare il forte concetto di tradizione che le confraternite esprimono. La tradizione, infatti, è forma di una trasmissione che inserisce in un processo più ampio e che genera conoscenza. La tradizione esprime una risorsa di cui i credenti anzitutto dovrebbero farsi carico. La tradizione per noi non significa soltanto il riferimento a una storia bimillenaria che, nel bene e nel male ci appartiene; indica, piuttosto, la partecipazione diretta a una viva trasmissione della fede che ispira e genera cultura. I cristiani dovrebbero ricuperare in questo frangente la memoria perenne dell’evento salvifico di cui sono responsabili nel mondo e, all’interno di questo momento, ripensare il ruolo della loro partecipazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa in Europa.
Ogni azione credente, infatti, anche quella sociale, politica e culturale porta con sé la peculiarità di essere annuncio del vangelo che salva Il recupero del senso della tradizione e del suo valore per il mantenimento della propria identità e per la costruzione dell’Europa è una strada da percorrere. Essa non è semplice; richiede, infatti, uno sforzo di originalità e un recupero di spessore speculativo. Per alcuni versi, comunque, la strada viene spianata per l’apporto di nuove espressioni di pensiero che si affacciano nel dibattito contemporaneo con la loro carica di profondità innovativa perché pongono di nuovo al centro la persona. È necessario alzare lo sguardo e non rimanere fissi sui tabulati che macinano numeri sulle eventualità date dai mercati azionari. Il mercato ha un suo valore così come l’economia e la politica. Il mercato, tuttavia, non può essere alla base dell’unità dei Paesi con tradizioni diverse. Le leggi economiche creano sviluppo nella misura in cui cresce la solidarietà e la fiducia tra i popoli non quando si alzano nuove barriere tra Paesi emergenti e Paesi poveri.
La Chiesa forte della sua storia di maestri e di santi che hanno reso queste terre fermento continuo di cultura e di civiltà, si sente interpellata direttamente ad assumersi le sue responsabilità. Lo può fare anche mediante il vostro apporto e la vostra diretta partecipazione all’unica missione evangelizzatrice. Dovremo riproporre senza stancarci la fede in Gesù Cristo morto e risorto come premessa per il riconoscimento pieno della persona, della sua dignità e dell’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali che sono patrimonio di tutti. Senza illusioni, se mi è dato di guardare con serenità al futuro, io intravedo l’opera dei credenti come un’azione convinta che saprà produrre nuova cultura sulla forza della fede di sempre. Non perderemo la nostra identità, perché non potremmo comprendere le nostre città con i segni che le caratterizzano, ma soprattutto per le tradizioni che ci appartengono. Le nostre chiese che sono gioielli di arte, i nostri campanili che spingono a guardare verso l’alto, i nostri segni di appartenenza che ci sono stati trasmessi insieme con le statue e gli stendardi ... tutto è un richiamo a ciò che siamo stati e a cosa dovremo conservare per essere ancora di più fedeli all’impegno responsabile della trasmissione. Non potremo mai assuefarci a un mondo dove non esiste l’amore che porta la nostra impronta. Il rispetto che abbiamo verso tutti e verso chi non condivide la nostra scelta di fede, ci impone di qualificare sempre meglio la nostra identità per evitare di diventare erranti senza più una meta e cittadini senza più una patria.
Siamo chiamati a riflettere sulla nostra capacità di poter creare un processo di trasmissione di valori e contenuti che formano l’identità dei nostri popoli, così da radicarsi per consentire un significativo senso di appartenenza a una realtà nuova eppure antica. Noi cattolici non indietreggeremo in questa assunzione di responsabilità e non accetteremo di essere emarginati. Siamo convinti, infatti, che la nostra presenza sia essenziale. Nessun altro potrebbe sostituirci nel portare quel contributo peculiare che ci appartiene e che ha segnato nel corso dei millenni una storia di umanizzazione senza confronti. Priva della presenza significativa dei cattolici, il mondo sarebbe più povero e meno attraente. Non vogliamo che questo avvenga; per questo chiediamo di essere ascoltati e messi alla prova per verificare ancora una volta la ricchezza del nostro contributo per il genuino progresso del pensiero e della società.
L’Europa, quindi, potrà essere davvero communis patria di popoli con lingue diverse e tradizioni differenti nella misura in cui saprà ritrovare il cristianesimo come fondamento su cui rinsaldare gli slanci per una nuova stagione di pace, di promozione umana e di progresso. Le confraternite che si uniscono a livello europeo, conservando le loro tradizioni, ma uniti nella responsabilità della comune partecipazione a un condiviso progetto di trasmissione della fede diventano un ulteriore segno con cui la Chiesa continua a percorrere le strade dell’Europa. Lo potrete fare alla stessa stregua dei monaci inviati da papa Gregorio Magno che in nome di Cristo crocefisso e risorto furono testimoni di speranza per un continente che aveva desiderio di ritornare a vivere. La speranza che noi portiamo ha qualcosa di straordinariamente grande, perché consente di guardare al presente, pur con le sue difficoltà, con uno sguardo carico di fiducia e di serenità. È la speranza che non delude perché forte di una promessa di vita che supera ogni limite e punta a fissare lo sguardo sull’unico necessario: un Dio che ama e che ha condiviso la nostra esistenza umana.

Sarà necessario convincere il nostro contemporaneo che le nuove superstizioni di cui si fida non conducono a nulla, solo la fede nell’amore che salva è principio di vita nuova e fonte di vera rinascita.

Discorsi programmatici del Presidente PCPNE :